Avrete tutti, sicuramente, sentito parlare nell’ultimo periodo di Taiji. Gli occhi di tutto il mondo, ormai da giorni, stanno seguendo le vicende della famosa “baia del massacro”, vicino al piccolo villaggio di Taiji, in Giappone.
Qui, ogni anno, per circa 6 mesi (da marzo a settembre) si compie uno dei massacri più crudeli a opera dell’uomo sui mammiferi marini, e in particolare quella di questi mesi è stata considerata la più grande retata degli ultimi 4 anni (250 animali catturati in una sola giornata, lo scorso 17 gennaio).
Durante questo periodo più di 20.000 esemplari, tra delfini e piccole balene – compresi i cuccioli con le loro madri- vengono avvistati mentre migrano in gruppo, e di proposito disorientati dal suono di bastoni metallici sott’acqua, dirottati dal loro tragitto e intrappolati nelle acque poco profonde di questa baia, ed è qui che a opera dei pescatori giapponesi si compie il destino di questi poveri esemplari: i piccoli vengono separati dalle madri, molti di loro non reggono allo stress e si lasciano morire, alcuni di essi sono stati visti fuggire dalla zona del massacro per attendere però, nelle vicinanze di essa, che anche la loro famiglia li raggiungesse (anche se questo significa, poi, essere catturati nuovamente);
un’altra parte di essi viene brutalmente uccisa, sgozzata con coltelli, decapitata, o a colpi di lancia metallica conficcata nella spina dorsale o nello sfiatatoio, sotto gli occhi terrorizzati degli esemplari vicini, e destinata al mercato della carne di delfino, molto richiesta in Giappone.
Ma in realtà, il governo giapponese rilascia legalmente i permessi per uccidere i delfini al fine di impedire loro di consumare il pesce negli oceani circostanti del Giappone, che si preferisce riservare al consumo umano. Gli animali più giovani e belli vengono venduti ai delfinari di tutto il mondo.
Si stima che per ogni mammifero destinato alla cattività le cifre si aggirino sui 200.000 dollari, cifra capace di arrivare alle stelle se l’esemplare in questione è considerato raro, come il piccolo delfino albino catturato proprio pochi giorni fa, comunque piccola somma se si considera che ogni delfino può fatturare al parco acquatico la stima come un miliardo di dollari annui.
La vita nei parchi marini è terribile per questi animali sensibili e intelligenti. In natura vivono in grandi gruppi e nuotano insieme anche per 100 miglia al giorno. Le femmine trascorrono tutta la vita con le madri e le sorelle all’interno del nucleo familiare.
Comunicano fra di loro con caratteristici suoni e particolari danze, e quando un animale è morente, o in difficoltà, gli altri accorrono in suo aiuto riportandolo in superficie per respirare. Nei parchi acquatici tutto ciò non è possibile, e i poveri animali si ritrovano a nuotare in cerchio, di continuo, in vasche di cemento sterile.
I loro sonar gli rimbalzano addosso a causa delle pareti delle piscine e spesso finiscono per impazzire, al punto che alcuni di essi attuano un vero e proprio suicidio. I delfini vivono circa 45 a 50 anni in mare, ma più della metà muoiono nei primi due anni di cattività.
Taiji è internazionalmente nota per il film-documentario premio Oscar “The Cove” (“La baia”), girato grazie all’azione degli attivisti del gruppo ambientalista Sea Shepherd che nel 2010 ha scosso e attirato l’attenzione di tutto il mondo.
Tuttavia, lo stesso massacro avviene in altre 19 altre baie, nell’indifferenza generale. Così, da 20 a 40.000 delfini scompaiono ogni anno, il 5% a Taiji, nel corso di un semestre.
Senza i milioni di visitatori dei delfinari questi orrori e questa drastica perdita di biodiversità sarebbe notevolmente ridotta.
E se i vostri figli vi chiedono di andare a vedere i delfini, spiegategli la crudeltà che si cela dietro gli spettacoli e la detenzione in cattività.